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12 - BASILICA DI SANTA CROCE
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Santa Croce - Cappella dei Pazzi

Basilica di Santa Croce e Cappella dei Pazzi, Firenze
Credits Luca Casprini

La grandiosa basilica è probabilmente opera di Arnolfo di Cambio, che vi avrebbe lavorato a partire dal 1294-1295 anche se non abbiamo documenti scritti che loconfermino. Fu edificata a spese della popolazione della Repubblica fiorentina e sorse su una precedente piccola chiesetta che i frati avevano costruito in seguito al loro arrivo in città nel 1252, in un luogo ancora fuori dalle mura, a pochi anni dalla morte di San Francesco. I resti dell'antico edificio sono stati localizzati nel 1966, a seguito del cedimento del pavimento della basilica dopo l'alluvione. La chiesa venne terminata circa 90 anni dopo, ma fu consacrata più tardi solo nel 1444. La basilica ha continuato ad essere arricchita e modificata nei sette secoli dalla sua fondazione, acquisendo sempre nuovi connotati simbolici: da chiesa francescana a "municipio" religioso per le grandi famiglie e le corporazioni, da laboratorio e bottega artistica a centro teologico, da Pantheon delle glorie italiane a luogo di riferimento della storia politica dell'Italia pre e post-unitaria. Alcune trasformazioni infatti furono conseguenza di precise vicissitudini storiche e politiche, come le trasformazioni compiute dal Vasari alla metà del XVI secolo (causate anche dai restauri dopo un disastroso alluvione) o l'impegno profuso nell'Ottocento per trasformare Santa Croce nel grande mausoleo della storia italiana. Nel 1966 l'Alluvione di Firenze inflisse gravissimi danni al complesso della basilica e del convento, situati nella parte più bassa di Firenze, tanto da diventare tristemente nota come simbolo delle perdite artistiche subite dalla città (soprattutto con la distruzione del Crocifisso di Cimabue), ma anche della sua rinascita dal fango, attraverso la capillare opera di restauro e di conservazione.

La Storia. Originariamente la basilica aveva una facciata incompiuta, una caratteristica tipica di molte basiliche fiorentine. La parete di pietra forte a vista assomigliava molto a quello che ancora si vede a San Lorenzo. Nel Quattrocento la famiglia Quaratesi si era proposta per finanziare la nuova facciata affidandola a Simone del Pollaiolo detto Il Cronaca. La condizione però che lo stemma Quaratesi apparisse bene in vista al centro del fronte principale scoraggiò i frati francescani dall'accettare la proposta, e la ricca famiglia decidesse così di dedicarsi all'abbellimento di un'altra chiesa francescana, San Salvatore al Monte. Oltre allo stemma di cristo sopra il rosone (posto nel 1437 durante una grave pestilenza), al centro del semplice portale centrale in una nicchia, fu posta quindi come unica decorazione la statua di bronzo dorato di San Ludovico di Tolosa di Donatello, già in una nicchia di Orsanmichele (dove fu sostituita nel '500 da un'opera di Giambologna), che oggi si può ammirare nel refettorio del convento. La facciata in stile neogotico fu creata tra il 1853 e il 1863, opera molto criticata dell'architetto ebreo Niccolò Matas per il suo artificioso stile neogotico. Si trattò tutto sommato di uno dei pochi cantieri moderni che non provocasse perdite di antichi manufatti o di importanti testimonianze, e che coronò grandiosamente la piazza, alimentando il mito di Santa Croce in Italia e all'estero. Il cantiere fu finanziato da un facoltoso protestante inglese di nome Sloane. la stella di Davide inserita nel timpano della facciata, pur non sconosciuta come simbolo cristiano, viene generalmente intesa come un'allusione alla fede religiosa dell'architetto.

Il campanile. L'esile campanile risale solo al 1847, opera di Gaetano Baccani; anche qui, come per la facciata, il progetto quattrocentesco, affidato a Baccio Bandinelli si era risolto in un niente di fatto. La realizzazione ottocentesca viene giudicata generalmente come abbastanza graziosa per la sua defilata semplicità, anche se la decorazione con la ghiera sulla cuspide rivela l'ispirazione eclettica moderna. Sulla sinistra del sagrato fu collocato il pomposo monumento a Dante a conclusione delle celebrazioni dantesche del 1865 per il VI centenario della nascita del grande poeta. Alla presenza di Re Vittorio Emanuele II fu inaugurata al centro della Piazza, ma venne in seguito spostata, anche per permettere di nuovo la partite del calcio in costume.

Architettura interna. La grandiosa navata centrale, ritmata dalle colossali campate segna una tappa fondamentale nel percorso artistico e ingegneristico che condurrà alla navata di Santa Maria del Fiore. I muri sottilissimi, sostenuti da archi a sesto acuto su pilastri ottagonali, richiamano le basiliche paleocristiane di Roma dove Arnolfo lavorò a lungo, ma la scala è infinitamente più grande e i problemi strutturali costituirono una vera e propria sfida alle capacità tecniche del tempo. La risoluzione di questi problemi costituì un precedente importante per la grande sfida della costruzione del corpo basilicale della cattedrale cittadina. In particolare il ballatoio che corona le arcate e cinge la navata centrale non è solo un espediente stilistico per accentuare l'andamento orizzontale della costruzione e frenare il goticismo allora poco gradito a Firenze, ma costituisce un legamento strutturale per tenere assieme le esili membrature e i vasti specchi murari. Solo da lontano, per esempio dal Piazzale Michelangelo, si possono apprezzare appieno le fiancate esterne con i nudi timpani triangolari e l'abside coronata da cuspidi. Il soffitto a capriate, ingannevolmente "francescano", richiese un complicato congegno strutturale data l'enorme luce libera e il peso che rischiava di sovverchiare le sottili murature. L'interno, estremamente ampio e solenne, ha una forma di croce egizia, cioè a "T", tipico di altre grandi chiese conventuali, con un transetto particolarmente esteso che taglia la chiesa all'altezza dell'abside poligonale. Arnolfo, rispettando in qualche modo lo spirito francescano, disegnò una chiesa con una pianta volutamente spoglia, con ampie aperture destinate all'illuminazione delle pareti sulle quali, come già in altre chiese francescane prima fra tutte quella di Assisi, dovevano essere affrescati grandi cicli figurativi destinati a narrare al popolo analfabeta le Sacre scritture (la cosiddetta Bibbia dei Poveri). Ma la grande chiesa, costruita con i contributi delle principali famiglie fiorentine, non dispone delle consuete tre cappelle al capocroce, ma ne allinea ben undici, più altre cinque dislocate alle estremità del transetto. Queste cappelle erano destinate alle sepolture dei donatori e ricevettero ricchissime decorazioni murali per mano dei maggiori maestri dell'epoca.

Le cappelle
La Cappella Maggiore si ispira all'architettura gotica più pura di matrice transalpina, pur mediata dalla sobrietà all'italiana, con un forte slancio verticale, sottolineato dalle nervature a ombrello nella volta e dalle strette bifore estremamente lunghe. Gli affreschi che la decorano sono le Storie dell'invenzione della vera croce, un tributo al nome della chiesa, realizzati da Agnolo Gaddi attorno al 1380.

Cappelle di destra. Ben più importanti sono gli affreschi nelle due successive cappelle a destra, la Cappella Peruzzi e la Cappella Bardi, entrambe decorate da Giotto tra il 1320 e il 1325. Nella prima sono raffigurate le Storie di San Giovanni Battista e quelle di San Giovanni Evangelista, mentre in quella Bardi le Storie di san Francesco. Entrambi gli affreschi furono eseguiti in tarda età dal maestro rinnovatore dell'arte occidentale e rappresentano una summa della sua opera pittorica e un testamento artistico, che molto influenzerà le generazione successiva dei pittori fiorentini (per esempio Domenico Ghirlandaio 150 anni dopo si rifece ancora agli schemi della Cappella Bardi per creare le scene francescanedella Cappella Sassetti in Santa Trinita). I particolari che rivelano la mano del maestro sono la straordinaria spazialità, resa con grande padronanza della disposizione delle figure nella scena e la resa drammatica della narrazione sottolineata dall'espressività dei personaggi. Per esempio nella scena della Morte di San Francesco i confratelli del Santo si disperano davanti alla salma distesa, con gesti ed espressioni incredibilmente realistici. Sempre a destra, in cima al transetto, si trova la cappella Baroncelli, affrescata da Taddeo Gaddi con Storie della Vergine (1332-1338), dove il grande discepolo di Giotto condusse i suoi studi sulla luce (con la prima raffigurazione pervenutaci di una scena notturna nell'arte occidentale) e autore anche dei disegni per la vetrata, delle quattro profeti all'esterno e forse anche della pala d'altare, da alcuni attribuita anche a Giotto. La Cappella Castellani invece fu affrescata da suo figlio Agnolo Gaddi con aiuti, mentre il tabernacolo è opera di Mino da Fiesole.

Cappelle di sinistra. Per quanto riguarda le cappelle di sinistra, spiccano al termine del transetto la Cappella Pulci-Berardi con affreschi di Bernardo Daddi (XIV secolo) e una terracotta policroma invetriata di Giovanni della Robbia sull'alatare. L'ultima su questo lato del transetto è la Cappella Bardi di Vernio, affrescata da Maso di Banco con le Storie di San Silvestro, mentre alla testa del transetto si trova un'altra cappella con lo stesso nome, dove è conservato il Crocifisso di Donatello che diede luogo ad una disputa, secondo il Vasari, fra lui e Filippo Brunelleschi, che giudicò il Cristo di quest'opera troppo rozzo e contadino e realizzò come termine di paragone l'unica sua scultura lignea a noi pervenutaci, il Crocifisso che ora si trova nella Cappella Gondi della basilica di Santa Maria Novella.

Cappella Medici. Uscendo dalla navata dalla testa del transetto destro, attraverso il portale disegnato da Michelozzo, architetto prediletto della famiglia Medici, si giunge alla Cappella Medici, sempre disegnata da lui, con una decorazione molto semplice ed essenziale, coronata dall'elegante pala d'altare in terracotta smaltata di Andrea della Robbia, risalente attorno al 1480.

Sacrestia. Da qui si accede anche alla grande Sacrestia, anche questa interamente affrescata. Sopra la decorazione geometrica della parte inferiore, si dispone sulla parete sud una serie di scene della vita di Cristo eseguite da alcuni dei più importanti pittori della scuola giottesca: Niccolò Gerini, Taddeo Gaddi (la Crocefissione) e Spinello Aretino.
Sul lato est, in corrispondenza delle vetrate che danno luce alla stanza, si apre la grande Cappella Rinuccini, con gli affreschi eseguiti tra il 1363 e il 1366 da Giovanni da Milano (alcuni li attribuiscono a Spinello Aretino).

Tombe e opere nelle navate
Santa Croce come Pantheon degli artisti 
La basilica custodisce innumerevoli tombe (solo quelle terragne conservate sono centinaia e altre son scomparse o sono state spostate nei chiostri) molte delle quali conservano le sepolture di uomini illustri. Sebbene la basilica fosse stata usata come luogo di sepoltura di molte personaggi illustri, al pari di molte altre chiese, è solo nell'Ottocento che diventò un vero e proprio pantheon di personaggi celebri legati all'arte, alla musica e alla letteratura. Nel 1871 infatti veniva qui sepolto con una affollatissima cerimonia pubblica Ugo Foscolo, morto nel 1827 in Inghilterra, secondo il suo stesso desiderio di essere sepolto accanto ad altri grandi personaggi fiorentini come Michelangelo e Galileo. Dopo questo episodio iniziarono ad arrivare altre salme di celebrità decedute anche molti anni prima, come Gioacchino Rossini nel 1887, Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri, eccetera, per i quali i migliori scultori dell'epoca realizzarono i monumenti che ancora si allineano nella navata. Anche per Dante fu approntato un grande sepolcro, ma la città di Ravenna si rifiutò strenuamente di consegnare le spoglie del poeta morto in esilio. Fra i monumenti antichi, quello del primo personaggio di rilievo ad essere qui sepolto è di Leonardo Bruni, per il quale Bernardo Rossellino ideò una tomba ad arcosolio rinascimentale (1444-45), cioè con il sepolcro posto dentro una rientranza formata da un gradone e da un arco a tutto sesto che lo chiude in alto. Analogamente fu creata la tomba di Carlo Marsuppini, per mano di Desiderio da Settignano.

Navata destra. La più famosa invece è quella di Michelangelo Buonarroti, all'inizio della navata destra, progettata dal Vasari dopo che le spoglie del grande artista arrivarono a Firenze da Roma (1564). Sopra al sepolcro tre sculture rappresentano le personificazioni della Pittura, della Scultura e dell'Architettura, rattristate per la scomparsa del grande maestro, ma tutto l'insieme del sepolcro è una commistione di pittura, scultura ed architettura. Davanti a Michelangelo, sul pilastro, è collocata la scultura della Madonna del Latte di Antonio Rossellino (1478) collocata sopra la tomba di Francesco Nori, morto per salvare la vita di Lorenzo il Magnifico durante la cosiddetta congiura dei Pazzi. Proseguendo nella navata destra si incontra prima il cenotafio di Dante, smisurato monumento del 1829. Sul pilastro successivo poggia il pregevole pulpito di Benedetto da Maiano, mirabilmente decorato da bassorilievi con scene a forte effetto di profondità grazie all'uso sapiente della prospettiva. A fianco dell'altare seguente, il terzo, il monumento a Vittorio Alfieri di Antonio Canova (1810), e poi quello di Niccolò Machiavelli (di Innocenzo Spinazzi, 1787). L'edicola con l'Annunciazione, in pietra serena con dorature, è una famosa opera di Donatello, realizzata con una tecnica inconsueta. Oltre la porta per i chiostri si trova il già citato monumento a Leonardo Bruni, accanto al quale sono sepolti Gioacchino Rossini e Ugo Foscolo.

Navata sinistra. Galileo Galilei è sepolto all'inizio della navata sinistra ed il suo sepolcro è contornato da una serie di affreschi trecenteschi riscoperti in seguito a restauri nel secolo scorso. Posta simmetricamente a quella di Michelangelo, ne ricorda un po' le forme sebbene sia più tarda di un secolo e mezzo. Sono invece opere ottocentesche, nella navata sinistra, i monumenti a Luigi Cherubini e a Leon Battista Alberti, quest'ultima opera di Lorenzo Bartolini, pure lui onorato qui da una placca nell'atrio vicino alla sagrestia (è sepolto invece nella Cappella di San Luca nella Basilica della Santissima Annunziata). Fra le pregevoli pale degli altari laterali, spicca un Pietà opera di Agnolo Bronzino

I Chiostri e il Museo
Il convento e la storia del museo. Alla basilica corrispondeva uno dei più grandi conventi cittadini. Come a Santa Maria Novella gli ambienti vennero gradualmente secolarizzati a partire dalla fine del Settecento e destinati ad altri usi. Per esempio la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze sorge su un terreno che prima faceva parte del convento ed oggi, fra le varie attività che si tengono nell'ex-cenobio si annoverano una scuola elementare ed una scuola per artigiani del cuoio, che ha una sua show-room vicino alla sagrestia. La parte più monumentale del complesso, costituita dall'ex refettorio con il Cenacolo fu allestita come museo già dal 2 novembre del 1900, sotto la direzione di Guido Carocci, dove già esisteva un deposito di opere d'arte, in parte provenienti dalle demolizioni del centro storico del periodo del Risanamento. Il museo venne gradualmente ampliato e inaugurato con un nuovo allestimento il 26 marzo 1959 come Museo dell'Opera di Santa Croce, con i due chiostri, il refettorio principale e qualche altro ambiente, ma il disastro dell'alluvione di Firenze, con l'acqua arrivata a 4,88 metri in Santa Croce, rese necessario un lungo periodo di chiusura per approntare i necessari restauri. Venne riaperto solo nel 1975 e un anno dopo, in occasione del decennale dell'alluvione, il martoriato Crocifisso di Cimabue veniva riportato nel museo. Dal 2000 circa tutto il complesso basilicale fu convertito in un unico grande museo con un unico biglietto a pagamento, che da una parte ha ridotto l'impatto del turismo di massa sui tesori della basilica, dall'altro ha innescato le tipiche polemiche di quando si destina un edificio di culto consacrato ad uso museale, impoverendo il ruolo spirituale di questi ambienti. A fronte di questi cambiamenti oggi non ha più molto senso di parlare di Museo dell'Opera di Santa Croce, a meno che non si voglia soltanto indicare i luoghi "che facevano parte dell'ex museo". Nel novembre 2006, appena dopo le celebrazione per il quarantennale dell'alluvione, diciannove opere pittoriche di grande pregio sono tornate al loro posto dopo un meticoloso e complesso restauro. Tra i dipinti trecenteschi tornati ci sono una Madonna con bambino e santi di Nardo di Cione, l'Incoronazione della Vergine di Lorenzo di Niccolò, il Polittico di San Giovanni Gualberto di Giovanni del Biondo, un San Jacopo di Lorenzo Monaco, un San Bernardino da Siena di Rossello di Jacopo e un San Bonaventura di Domenico di Michelino. Tra le pale rinascimentali si annovera la Deposizione dalla Croce di Francesco Salviati (che ha subito un recupero quasi miracoloso, dopo che fu ritrovata dilaniata a pezzi) e La discesa di Cristo al Limbo di Agnolo Bronzino (in seguito al restauro sono stati scoperti dei dettagli scabrosi di demoni, censurati in antico). All'appello manca solo la grandiosa tela dell'Ultima Cena di Giorgio Vasari, all'epoca divisa in grandi segmenti e in deposito da quarant'anni. L'opera è stata riesposta nel 2016.

 

I chiostri e la Cappella de' Pazzi. Il chiostro trecentesco che introduce alla Cappella de' Pazzi, si trova sul lato destro della facciata della Basilica. Era originariamente composto da due chiostri distinti , uno rettangolare ed uno quadrato, che si ritrovano chiaramente nella pianta attuale. Sul lato destro della facciata si trova una rientranza dove una serie di cipressi circonda le statue di Dio Padre seduto di Baccio Bandinelli e quella del Guerriero bronzeo di Henry Moore. La Cappella dei Pazzi è un capolavoro di Filippo Brunelleschi e di tutta l'architettura rinascimentale, mirabile esempio di armonia spaziale raggiunta in tutti i suoi elementi strutturali e decorativi.

 

Il refettorio. Il percorso espositivo prosegue con la visita dei locali del Refettorio trecentesco dove sono posti importanti esempi di arte sacra tra i quali spicca lo splendido Crocefisso di Cimabue, una delle opere d'arte più importanti di tutti tempi, chiave nel passaggio dalla pittura bizantina a quella moderna, purtroppo diventato tristemente famoso come simbolo della distruzione causata dall'alluvione del 1966; nonostante il restauro la superficie pittorica è andata in gran parte perduta e per poterlo ammirare appieno ci restano solo le fotografie precedenti al disastro. La parete ovest del refettorio è dominata dalla grande serie di affreschi di Taddeo Gaddi, che la ricoprono interamente (1333). Lo schema delle decorazioni diventerà tipico per i cenacoli conventuali, con una Crocefissione, qui rappresentata come Albero della Vita, contornata da alcune scene fra le quali spicca l'Ultima cena. In basso, primo prototipo dei cenacoli fiorentini che andranno a decorare i refettori dei più prestigiosi conventi e monasteri della città. Alle pareti sono poi esposti sei frammenti di affreschi di un Trionfo della Morte di Andrea Orcagna, ritrovati sotto l'intonaco cinquecentesco. Probabilmente erano stati gravemente danneggiati dall'alluvione del 1557, tanto da costringere il Vasari (che sicuramente non coprì l'opera antica per solo spirito di rinnovamento stilistico, essendo un estremo ammiratore degli antichi maestri fiorentini) a realizzare nuovi altari in pietra serena su un muro a intonaco bianco. I frammenti ritrovati sono comunque notevoli per la vivida narrazione delle scene e il colorito linguaggio pittorico. La statua di San Ludovico di Tolosa è una poderosa opera di Donatello, una delle pochissime in bronzo dorato del grande scultore fiorentino (1423-1424), inizialmente realizzata per una nicchia di Orsanmichele, fu poi spodestata da un'altra opera di Giambologna e posta per circa tre secoli (dal Cinque all'Ottocento) in una nicchia al centro della facciata incompiuta di Santa Croce. Sempre nel refettorio l'affresco staccato dei Santi Giovanni Battista e Francesco è un frammento di un'opera più ampia, nel tipico stile luminoso di Domenico Veneziano. Qui sono inoltre state esposte le diciannove pale (dipinti su tavola o su tela) danneggiate durante l'alluvione e ricollocate solo nel 2006, al termine di un lungo e capillare lavoro di restauro.

Altri ambienti. Nella altre 5 sale sono conservate altre pregevoli opere fra le quali spiccano il Polittico di Giotto, la ricostruzione del monumento a Gastone della Torre di Tino da Camaino, una scultura di Andrea della Robbia e il pregevole busto reliquiario in argento della Beata Umiliana de' Cerchi, attribuito a Lorenzo Ghiberti, oltre a affreschi staccati, sinopie e ricostruzioni di lastre tombali. Dal primo chiostro si accede anche a una galleria dove sono state collocate le lastre delle tombe ottocentesche rimosse dall'interno della chiesa, fra le quali si trovano spesso importanti lavori accademici di scultura del XIX secolo. Intorno alla Basilica si sviluppano, oltre un secondo chiostro a partitura quadrata con pozzo centrale, una serie di antichi orti che corripondono al retro della chiesa, ricchi di alberi (con alcuni splendidi esemplari di bagolari, cedri dell'Atlante e dell'Himalaia), oggi aree di pertinenza delle scuole Pestalozzi e Vittorio Veneto, della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e della Scuola del Cuoio.

Basilica di Santa Croce e Cappella dei Pazzi, Firenze
Credits Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3896559
Basilica di Santa Croce e Cappella dei Pazzi, Firenze
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Basilica di Santa Croce e Cappella dei Pazzi, Firenze
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Basilica di Santa Croce e Cappella dei Pazzi, Firenze
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